La storia di Montecorvino Rovella
La sua storia ha inizio nel 269 a.C., quando i Romani, alla cui testa vi era il console Sempronio Sofo, sconfissero i Piceni, un popolo di antica origine sull’ Adriatico, e li trapiantarono con la forza a popolare e coltivare il territorio della Campania, tra il confine meridionale della lega nocerina ed il confine settentrionale della lega lucana, occupando, così, il vasto territorio compreso tra i fiumi Sele e Sarno, al fine di rendere quelle terre più prospere.
Fu costruita una città cui venne dato il nome di Picenza e Picentini furono chiamati i suoi abitanti per distinguerli dai Piceni rimasti sull’ Adriatico.
Più volte questa popolazione si ribellò al giogo romano e Picenza venne rasa al suolo per ben due volte ( la prima volta nel 201 a.C. quando si alleò con Annibale, e la seconda volta nell’ 89 a.C., durante la Guerra Sociale). I romani per vendicarsi fecero obbligo ai superstiti di non poter ricostruire una città unita, consentendo solo la costruzione di piccoli villaggi sparsi sul territorio, facilmente dominabili in caso di ulteriore rivolta. Nacque Montecorvino. Sull’origine del nome ci furono diverse ipotesi; quella più accreditata dagli storici si rifà alla presenza dei corvi sulle alture del Monte Nebulano che domina il paese. Alla stessa ipotesi è ispirato lo stemma civico.
Il Monte Nebulano ci mostra ancora oggi i ruderi di un Castello, il cui nome è appunto Castello Nebulano, sorto probabilmente intorno al VI sec. d.C., dapprima come fortificazione in legno (lignitie) e poi rinforzato in fabbrica (fabrite) con i resti ben visibili di una grossa cinta muraria con Mastio, Vallum e Bassa Corte.
Questa importante fortificazione ,che faceva parte di un pregevole disegno di difesa del territorio costiero, nell’ 850 d.C., offrì ricovero, insieme ai castelli di Eboli ed Olevano, alle popolazioni della pianura, minacciate dalle incursioni saracene.
Anche il Castello Nebulano ha conosciuto una doppia distruzione; la prima avvenne nel 1137 ad opera di Ruggero il Normanno, nella vasta presa di possesso dell’intera Italia Meridionale, e la seconda volta, nel 1392, quando le soldatesche di Ladislao di Durazzo, capitanate da Alberico da Barbiano, lo espugnarono perché aveva dato ospitalità ai Sanseverino, potentissimi signori di Salerno di parte angioina.
Il Castello fu ricostruito e sostenne in fatto d’armi , ospitandolo, il Re Alfonso I di Aragona. Per tale aiuto, il nipote Alfonso II di Aragona, per riconoscenza, conferì il titolo nobiliare a 23 famiglie del luogo, con privilegio del 24 giugno 1494.
Nel 1532, a testimonianza dell’ accresciuta importanza della città, Montecorvino con Olevano e Melfi era tra le più efficaci sedi di cancelleria di Principato Citra o Citeriore. Queste avevano il compito della stesura dei verbali che successivamente venivano inviati al Capoluogo del Regno (Napoli).
Devoluta definitivamente al Regio Demanio alla fine del XV secolo, dopo innumerevoli controversie, per circa tre secoli, attraversò il periodo più buio della sua storia tra vendita a feudatari e conseguente riscatto di cittadini demanisti.
Nel 1572 fu venduta ai Grimaldi, nel 1638 ai Pignatelli, nel 1719 ai Revertera, nel 1738 di nuovo ai Pignatelli, nel 1744 ai Genovese, nel 1788 ancora ad un nipote dei Genovese (Mariano), finché, finalmente, nel 1795 venne rivendicata a sé per convenzioni coi demanisti e nel 1806 divenne libera per la legge eversiva della feudalità.
Nel 1820, a seguito di una legge emanata da Ferdinando I di Borbone il 1^ maggio 1816, si separò il Casale di Pugliano, che assunse il nome di Montecorvino Pugliano.
L’antichissimo territorio montecorvinese, che dalle porte di Salerno raggiungeva la località Campoluongo, nel Comune di Eboli, è andato sempre più riducendosi nel tempo con la nascita di nuovi Comuni, e ciò avvenne con la nascita di Montecorvino Pugliano, sopra citata, nel 1820, Pontecagnano Faiano nel 1911, Battipaglia nel 1929 e Bellizzi nel 1990.
Personaggi storici
Nacque nel 1572 nel Casale di Gauro, allora Stato di Giffoni, oggi Montecorvino Rovella. Lorenzo Crasso nella sua pubblicazione ” Degli Elogii degli huomini letterati – Venezia 1666 “, ce lo descrive come piccolo di corpo, bruno di colore e piccolo di statura. Non sappiamo nulla dei suoi genitori, né dell’esattezza del luogo di nascita. Difatti, da nostre ricerche effettuate negli Archivi della chiesa di S. Andrea in Gauro, non abbiamo trovato traccia della sua famiglia anche se a Gauro, sulla sinistra, un palazzo all’ingresso della frazione sembra sia appartenuto ad essa. Lo stemma, sotto la volta del portone di ingresso, è purtroppo quasi scomparso. Presso l’Archivio della Collegiata dei SS. Pietro e Paolo di Montecorvino, abbiamo invece trovato traccia di una famiglia Gloriosi nella frazione Martorano e non è escluso che possa essere stata la residenza principale della famiglia, anche perché la tradizione orale, molti anziani del luogo da me interpellati, dicevano che Martorano era il prolungamento di Gauro sino alle sponde del fiumiciattolo della Rienna. Diversi biografi indicano Napoli come luogo di nascita, ma riteniamo debba intendersi ” Regno di Napoli ” di cui la piccola Gauro faceva parte. Comunque sembra che abbia compiuto l’istruzione elementare nel suo paese natale e passò molto precocemente a Napoli dove accrebbe la sua formazione intellettuale. Dopo essersi laureato in filosofia ed in teologia, predisposto come era per la carriera ecclesiastica, frequentò Padre Clavio del quale ammirò la grande competenza nella filosofia scientifica. Il 24 maggio 1604, Fra Costanzo da Cascio da Napoli inviava una lettera al Galilei per segnalare ” questo dottore di Filosofia e Teologia eccellentissimo in qualsivoglia genere di matematiche, che aveva voglia di dipartirsi dal Regno ( di Napoli) e ritirarsi in qualche parte d’Italia ove potesse manifestare le sue virtù ed il suo valore”. Tre giorni dopo anche il Gloriosi scrisse al Galilei una lettera del tenore seguente :Io, signor Galilei, ho sempre desiderato uscir di regno, et occuparmi dell’esercitio delle matematiche, ov’io trovo una felicissima soddisfazione e con quelle ho fatto pensiero trattener la mia vita…………….La prego, dunque, a ricevermi tra suoi affezionati supplicandola se in coteste parti in Venetia o altri luoghi venisse qualche occasione di lettura pubblica o privata ov’io onoratamente mi potesse trattenere, che non la farei restar defraudata dell’honor suo”. La risposta del Galilei, probabilmente non fu gradita dal Gloriosi, tanto è vero, che nel 1610, allorché pubblicò Sidereus Nuncius si espresse in modo tutt’altro che benevoli nei confronti dello scienziato. Dal 1606, quando era giunto a Venezia, per la prima volta, vi rimase per lungo tempo e in quel periodo, diffuse molti suoi lavori sotto forma manoscritta che furono distribuiti ad amici e scienziati. Nel 1613 pubblicò, sempre a Venezia, il suo primo lavoro, Ad theorema geometricum, che gli aprì le porte per prevalere sulla concorrenza aspirante alla cattedra di Galilei, fu anche perché aveva acquistato una notevole fama per i lavori che aveva diffuso anche se non pubblicati ufficialmente. E fu in quell’anno, 1613, che potè occupare, a Padova, la prestigiosa cattedra del Galilei, incarico che mantenne fino al 1621 con brillanti successi, soprattutto per le sue dottissime lezioni di astronomia. Nel 1618 scrisse il Messaggiero celeste e Dissertazione astronomica fisica delle Comete, che pubblicò a Venezia. Nel 1624, pubblicò De Cometis, che dedicò al Galilei. Fu proprio quest’opera che gli fece raggiungere il massimo della notorietà, dimostrando una profonda conoscenza dell’astronomia. Nello studio patavino i rapporti con i riformatori si andavano sempre più logorando e fece ritorno a Napoli, ove, nel 1627 fece un’ulteriore pubblicazione sulla matematica Exercitationes Mathematicae decas una. Nel 1630, a seguito di una disputa furibonda sulle comete, pubblicò ancora Responsio ad severum idest ad fortunium licetum rispondendo al Liceto che l’aveva avversato su quell’argomentazione. Nel 1635, pubblicò, ancora, in Napoli, la seconda parte del trattato di matematica. In questo periodo ottenne grandi accoglienze e grandi onori dal Vicerè in persona, vista la grande fama che l’aveva preceduto negli ambienti di corte. Morì l’8 gennaio 1643 di catarro malcurato e da lui trascurato. La sua biblioteca fu venduta dal nipote al Vicerè in persona che trasferì in Spagna tutto il materiale librario e manoscritto. Molti uomini valenti come Lorenzo Crasso, Angelo Patinaci, Giacomo Filippo Tommasini, Pietro Napoli Signorelli, nelle loro opere ricordarono il Gloriosi come filosofo e matematico, insigne di alto ed acuto ingegno, di memoria non ordinaria, desideroso di gloria, estimazioni e premi. Nel 1986, a Montecorvino Rovella, ad opera di appassionati astrofili nacque un Osservatorio Astronomico che fu appunto dedicato a questo illustre concittadino.
Nunzio Di Rienzo
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Nacque in Gauro, oggi Montecorvino Rovella ( SA) allora Stato di Giffoni, il 12 marzo 1475 da Bernardino e da Cerelia Linguiti. Il padre era grammatico, letterato, poeta, scrittore, secondo i canoni propri dell’epoca caratterizzata dal fervore di studi classici e dall’amore di tutto ciò che sapeva di greco e di latino. Il giovane Luca, iniziò, quindi, i suoi studi sotto la guida del padre che lo aveva erudito e fatto erudire, sino alla sua morte nel 1497, nella cultura umanistica in Napoli, quando questa era in piena fioritura sotto il pacifico regno di Ferdinando I di Aragona che aveva al suo fianco i poeti più affermati delle poca, il Pontano ed il Sannazzaro.
In quel periodo si recò con il fratello a Padova, ove insieme al Fracastoro, con Navagero ed altri giovani patrizi veneti, seguiva le lezioni del Pomponazzi. Verso il 1502, a 27 anni, conseguì la laurea ed il titolo di doctor artium.
I suoi studi si erano diretti alla matematica ed all’astrologia giudiziale, che concerneva il destino del cielo natale nel lungo termine ed accuratamente studiato ed aggiustato ” ad personam”. Secondo Luca non erano le stelle ad influenzare il carattere ed il destino della persona, ma le proprietà che Dio aveva concesso alla persona stessa che si riflettevano nelle configurazione stellare, presente nel momento in cui Dio permetteva all’individuo di nascere. Famoso il suo lavoro “TRACTATUS Astrologicus” pubblicato nel 1552.
Il 14 dicembre 1501, prima della laurea, aveva già dato un notevole saggio della sua passione, pubblicando il suo primo Almanacco o prognostico sull’anno a venire (1502) predicendo la buona o la cattiva sorte delle campagne, delle città, degli imperatori, dei re, dei principi, del papa, del sultano, delle repubbliche, ecc….
L’anno successivo, arricchì il suo almanacco migliorandolo notevolmente e dedicandolo a Leonardo di Loreto. L’opera destò molto scalpore anche perché molti eventi da lui previsti si avverarono.
Il Giannone ( ist. Civ. Vol. VI ) citò Luca Gaurico tra i dotti ” che si affaticarono intorno alla emendazione del calendario ” prima della riforma del Papa Gregorio XIII.
Il 1506 fu l’anno in cui incominciò ad insegnare pubblicamente astrologia presso l’Università di Bologna con il titolo di Dominus Magister.
La buona reputazione di Luca Gaurico crebbe notevolmente, tanto che venne chiamato a servire Caterina dei Medici come ” consulente astrologico”. Si diceva, infatti, che avesse predetto la nomina al soglio pontificio dello zio di Caterina, il Cardinale Giovanni di Lorenzo dei Medici, che divenne poi veramente Papa con il nome di Leone X. Analoga predizione fece ad un altro zio di Caterina, Giulio dei Medici, che sarebbe stato coinvolto in importanti dispute politiche ed avrebbe avuto numerosi discendenti. La predizione si avverò con la nomina a Papa ( Clemente VII) di Giulio dei Medici, che venne coinvolto, come predetto, in accese dispute diplomatico-politiche con l’imperatore Carlo V e con Enrico VIII di Inghilterra, inoltre, come si rumoreggiava, aveva avuto ben 29 figli illegittimi.
Giovanni Bentivoglio, podestà di Bologna, signore e tiranno di quella città, volle consultare il Gaurico per conoscere il suo destino e il Gaurico pronosticò al terribile vecchio che sarebbe stato cacciato dalla città e dalla signoria se non smetteva le sue crudeltà e se, recandosi a Roma, non si fosse riappacificato con il Papa Giulio II, con quale era in lotta.
Poco gratificato della profezia ricevuta, e mal consigliato dal suo segretario Cristoforo Poggio, il Bentivoglio sottopose Luca alla tortura della ” mancuerda “, quattro tratti di corda, e lo fece rinchiudere in carcere ove stette per 25 giorni.
Fu liberato dal carcere da un giovane sacerdote trentino, Cristoforo Madrucci,al quale, successivamente , nel 1524, il Gaurico dedicò il suo trattato ” De Sphera “. Il Madrucci gli fece ottenere l’ufficio di lettore di matematiche a Ferrara, e lì trovò un terreno molto ben predisposto per la diffusione dell’astrologia, dottrina verso la quale il popolo estense era tutt’altro che avverso, e vi rimase sino al 1508.
Partì di nuovo per Bologna e da questa città , nel febbraio 1509, inviò al marchese Francesco Sforza di Mantova, una predizione di ” un mondo di belle cose “, ma il Gonzaga in quello stesso anno fu fatto prigioniero dai Veneziani. Nel citato ” Tractatus Astroligicus” sostenne di aver predetto tale prigionia.
Luca fuggì con il fratello Pomponio e si rifugiò a Roma, dove, sempre proteso allo studio dell’astrologia, ammiratore del terribile Pontefice Giulio II, fu ammesso a frequentare la Biblioteca Vaticana.
Nel 1512 si divise dal fratello e si recò a Mantova dove pubblicò ” il Prognosticon ” che ebbe una grande fortuna di non poche trascrizioni e molte ristampe. Il Prognosticon era un breve poema in esametri che profetizzava stragi, rovine, uccisioni, terremoti, carestie, dal 1512 al 1535 al popolo veneziano, alla Francia, Milano e Costantinopoli, persino la nascita di un falso profeta.
Tra il 1513 ed il 1523, rimase a coltivare i suoi studi a Venezia e si recò di nuovo anche a Mantova. Il 28 novembre 1523 fece stampare a Bologna un Pronostico dedicato a Clemente VII e nel 1524 risiedeva certamente a Venezia, quando predisse a Baldassarre De Rossi, la sua morte, che avvenne nella Battaglia di Pavia il 24 febbraio 1525.
Fu in quel periodo, sempre a Venezia , che furono stampate molte delle sue opere e, il 16 gennaio 1525, riceveva un attestato di stima dal giovane principe di Salerno Don Ferdinando Sanseverino, diciottenne, scolaro del fratello Pomponio, appassionato di divina astrologia.
Il Sanseverino gli concedeva la rettoria di San Giorgio nel casale San Severino in provincia di Salerno, rimasta vacante per l’assenza di un chierico aversano, Marco Antonio de Riccardi, che pareva fosse morto in Francia. Fu in quel diploma che Luca Gaurico apparve per la prima volta come ecclesiastico, per la precisione protonotario apostolico . Non si sa quando il Gaurico avesse abbracciato quella vocazione, il Wadding, uno storico francescano del secolo XVII, addirittura lo inquadrava come frate francescano.
Nel 1528 dava alla luce una rinnovata edizione dell’Almagesto di Tolomeo con la traduzione latina di Giorgio da Trebisonda ed alcune sue annotazioni.
Secondo lo storico Ughelli, il Papa Clemente VII, il 6 maggio 1531, per fare un piacere al Gaurico, eresse a vescovato la sua patria natia, Giffoni, togliendola dall’Arcivescovato di Salerno , in quella città creò come cattedrale la Chiesa principale e ad esso unì Gauro che dipendeva dal Vescovo di Acerno. Lo stesso Ughelli, insinuò, contraddicendosi stranamente, che il Papa avesse eretto il nuovo vescovato non per far piacere al Gaurico ma per l’odio che aveva contro l’Arcivescovo Fregoso che nel 1522 aveva seguito le parti dei Francesi e si era rifugiato in Francia, dopo essere stato privato della Chiesa di Salerno. Il primo vescovo di Giffoni, un monaco olivetano appartenente ai feudatari del luogo e parente del marchese del Vasto, Inico d’Avalos, aveva optato, avendone la possibilità, per la Sede di Aquino e il vescovato di Giffoni era rimasto vuoto. Il Gaurico solo molti anni più tardi, nel 1539, aveva fatto ricorso al predetto marchese del Vasto per supplicare il Papa affinché gli concedesse quella sede
Il 1534 fu l’anno più felice per Luca. Egli aveva predetto l’ascesa la soglio pontificio di Alessandro Farnese, cosa che avvenne, dopo la morte di Clemente VII, con il nome di Paolo III.
Questo Papa incoraggiava gli astrologhi a recarsi a Roma a lavorare sotto la sua protezione, nominò Luca il suo astrologo non ufficiale, lo creò Cavalere e successivamente, assecondando un suo desiderio e per disobbligarsi dalle premure inoltrate dal Marchese del Vasto, lo nominò nel 1539 vescovo di Giffoni, in provincia di Salerno, con il titolo di Episcopus Geophonensis. Ma secondo l’Informatio non prese mai possesso di quella sede.
Nel 1545 lo nominò Vescovo di Civitate ( San Severo) in Capitanata ( Puglia ). Secondo il Percopo, a pag. 152, questa nomina avvenne in cambio del Vescovato di Giffoni, che venne abolito, e il Papa aveva preso tale provvedimento, per le continue rimostranze del Vescovo di Acerno e dell’Arcivescovo di Salerno, forse anche per volere dell’imperatore Carlo V, sotto il cui patronato era posta la chiesa salernitana. Ma nel 1549, come pare avesse predetto, moriva il 20 novembre Paolo III e abbandonando questi incarichi, ritornò a Roma.
Nel 1550 , a Padova, pubblicò l’opera nuova astronomica dal titolo Albero della vita del bene e del male e, in quello stesso anno, Giorgio Sabino di Wittenberg, , grande oratore e poeta, benchè compatriota del Lutero, gli dedicò una famosa elegia ” De Christi die natalicio”.
Nel 1552, pubblicò, la più famosa delle sue opere che abbiamo più volte citato, il Tractatus Astrologicus.
Quest’opera, preceduta da epigrammi di Alessandro Fortunato di Giffoni, fisico ed astronomo, del fratello Pomponio e da alcuni suoi “carmina ” religiosi, è divisa in sei trattati ( pronostici sulle città; pronostici sui pontefici e sui cardinali; pronostici sugli imperatori, re e principi; pronostici nell’arte e nella letteratura riferendosi ai più famosi oratori, poeti, filosofi, dell’epoca, tra i quali Erasmo da Rotterdam e Lutero; ricordo di coloro che sono morti violentemente ed infine coloro che erano stati mutilati e viziati). Inoltre cercò anche di calcolare la data esatta della crocifissione di Cristo e di stabilire il numero esatto delle ore che trascorsero tra la crocifissione e la risurrezione.
La pubblicazione del Trattato gli procurò seri problemi , ( le sue previsioni e le sue affermazioni non incontravano il favore di molti ) tanti che fu costretto ad abbandonare Venezia e scappare a Bologna nel 1554.Da allora le sue condizioni divennero difficili, ma la povertà non spense il suo ardore e a Roma pubblicò il De Ocio liberali e De vera nobilitate libellus edito senza alcuna nota tipografica e dedicato a Benedetto Accolti, arcivescovo di Ravenna.
Proseguì negli studi, ma il 5 marzo 1558, quasi ottantatreenne, ordinava in extremis il suo testamento che fu redatto dal notaio Cesare Castrucci di Palestrina, nel quale esprimeva il desiderio di essere sepolto nella Chiesa di Santa Maria di Aracoeli in Roma. Di tale desiderio pregava anche il suo concittadino Sebastiano Benincasa per la sua realizzazione.
Morì il giorno dopo,6 marzo 1558, e con lui moriva, a detta degli studiosi, l’astrologia giudiziaria. Fu sepolto davanti alla porta maggiore di Santa Maria di Aracoeli, sul pavimento a destra di chi entra in Chiesa, la lapide, ormai illeggibile, fu dettata dagli eredi testamentari , il citato Sebastiano Benincasa ed Ottavio Cane , bolognese.
Il tenore della lapide è il seguente:
Luca Gaurico Geophon
Epo civitaten
D.O.M.
Obiit die VII martii MDLVIII
Vixit ann. LXXXII M. XI D. XXV
DD. Sebastianus Benincasa
Geophonen ect Octavianus
Canis Bonon. Haeredes
Ex testamento B. M. P.
Con lo stesso testamento, datato 5 marzo 1558, lasciava al suo villaggio natio di Gauro la sua libreria, dice il Percopo , che si conservava nella Chiesa di S. Andrea, già guasta e dispersa sin dal principio del secolo XVII..
NUNZIO DI RIENZO
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Nacque in Montecorvino Rovella di Salerno nel 1247 dalla famiglia Pico, ricca e nobile. Frequentò l’allora famosa Università di Salerno ed entrò giovanissimo nell’ordine dei Frati Minori, attratto dalle meraviglie che si narravano dei figli di S. Francesco. Era un giovane dotato di nobiltà di lignagio e di preparazione intellettuale non comune. Nel 1271, a ventiquattro anni, si ascrisse alla squadra mobile di quel caldo manipolo di frati che S. Francesco di tanto in tanto raccoglieva nella verdeggiante pianura della Porziuncola, e che poi lanciava per il mondo a predicare la fratellanza universale.
La sua prima missione proprio in quell’anno, quando, a nome dell’imperatore Michele Paleologo di Costantinopoli, annunciò a Tebaldo Visconti la sua elezione a Papa (Gregorio X, 1271-1276) nel lunghissimo e tormentato conclave di Viterbo, presso la sede del S. Sepolcro in Gerusalemme. Nel 1279 gli fu assegnato il territorio dell’oriente mediterraneo con il regno dei Tartari e loro tributari, Persia, Armonia, Kitciak e ben presto si distinse tra tutti i missionari per il suo lodevole operato. In dieci anni di permanenza, fino al 1289, battezzò migliaia di uomini ed annunzio ovunque il Vangelo con il sommo vantaggio spirituale delle anime. In quello stesso anno, comunque, fece ritorno a Roma quale legato per il Papa del Re Haytone II, in accordo con l’Imperatore di Persia Argone, onde ottenere che la S. Sede recuperasse dello stato dei cristiani in quella regione.
Nel 1289 era Papa Fra Girolamo Masci, di Ascoli, con il nome di Niccolò IV (1288-1292), già legato apostolico della sede in Oriente e Ministro generale dell’Ordine francescano.
Questo grande Pontefice, il Papa delle missioni, accolse Giovanni a Rieti, ove allora era ubicata la sede della Corte Pontificia, e considerati i gradi progressi e speranze del cattolicesimo in Oriente, vide in quell’umile frate l’uomo adatto per la realizzazione dei suoi desideri: carattere energico, solide virtù, fedeltà e coraggio.
Con lavoro febbrile tra il 5 ed il 15 luglio 1289, approntare n° 26 credenziali che consegnò allo stesso Giovanni, lo creò suo legato e lo inviò verso i Re, i dignitari ecclesiastici Georgiani, Nestoriani, Giacomiti, fino al Gran Khan del Cina.
Forte della benedizione papale ed in compagnia del domenicano Fra Nicola da Pistoia e di un ricco mercante genovese Pietro Lucalongo, raggiunse Venezia ove si imbarcò. Dopo un breve viaggio in mare approdò, ad Antiochia, poi passo per l’Aiazzo, e si fermò a Sis, capitale dell’Armenia, dove fu accolto con tutti gli onori dal Re Haytone. Da Sis si diresse a Tauris (Tabriz) alla corte di Argone, Khan della Persia, dove i frati minori avevano due conventi e lavoravano in pieno accordo con i Domenicani.
Lasciò Tauris (Tabriz) nel 1291, a 44 anni, si diressi verso Seres e poi ad Ormuz sul Goplfo Persico, importantissimo scalo dell’attivissimo commercio indo-cinese.
Da Ormuz prese la via del mare ed approdo in India, dove rimase per 13 mesi. Si soffermò sulla costa Malarica, a Coromandel, presso Madras, dove secondo un’antica tradizione erano custodite le spoglie mortali dell’apostolo S. Tommaso. E qui, Fra Giovanni eresse la prima chiesa latina, vi battezzo i primi cento fedeli che per la sua predicazione si erano convertiti al Cristianesimo. In questa terra, dopo breve, morì l’amico e compagno di viaggio Fra Nicola, il domenicano e, il nostro frate dovette proseguire il suo cammino verso la Cina in compagnia del coraggioso mercante Genovese.
Fu fatta la scelta di raggiungere la Cina per via mare e non per via terra, come avevano fatto i polo, e fu una scelta coraggiosa, se si considera che allora si navigava con mezzi di fortuna, ci si affidava alla spinta dei venti e all’improvvisazione, senza contare i mille pericoli in agguato tra pirateria e vari imprevisti.
La prima città cinese toccata fu Senkalà (Canton), grande tre volte Venezia, proseguì per Zaitong o Quanzhou (Tsiuen Tgiu nel Fukien) che era uno dei più grandi porti del mondo con circa un milione di abitanti, ricca di templi e monasteri buddisti, percorsa da commercianti provenienti da tutto il mondo in cerca di sete preziose, giada, profumi e spezie varie.
Questa fu la meta del mercante genovese e Fra Giovanni attraversò il Fujian sino a Kinsaj, dai 12000 ponti raggiunse Yanzhon e da qui si imbarcò sul canale imperiale e con destinazione Khambaliq (Pechino). Era il 1294 erano trascorsi 5 anni dalla sua partenza, Giovanni consegnò la lettera del Papa Nicolò IV, ormai defunto, nella quale questi esprimeva il suo più vivo compiacimento per il desiderio del Khan di avere nel suo territorio missionari della Chiesa di Roma. Il Gran Khan Timur, succeduto a Kubilay, fece riservare al legato pontificio uno speciale appartamento della città proibita, privilegio non accordato ai rappresentanti delle altre religioni.
Fra Giovanni, persi i contatti con l’Occidente, si valse dei privilegi accordatigli dal Khan per dedicarsi con zelo alla predicazione del Vangelo anche tra i membri della famiglia imperiale.
Nel suo primo anno di permanenza convertì molti nestoriani, tra i quali Re Giorgio, di Tenduk, una regione della Cina ed ivi riuscì a costruire una grande chiesa in onore della SS. Trinità.
Re Giorgio ricevette gli ordini minori e diede esempio a tutti servendo le sacre funzioni all’altare.
Questo Re morì due anni dopo, nel 1296, e lasciò al trono il figlioletto di 9 anni, battezzato con il nome di Giovanni, in onore dell’amico missionario.
Un altro frutto del suo zelo missionario fu la conversione della principessa che divenne poi moglie del Gran Khan.
Tradusse in lingua tartara tutto l’ufficio divino, il salterio ed il Nuovo Testamento.
Eresse la prima chiesa a Pechino nel 1299 con tre campane ed annessi edifici per la missione cattolica. Nel 1305 Giovanni fu raggiunto in Cina da un confratello Fr. Arnoldo Alemanno, della provincia francescana di Colonia, ma era troppo solo, e nel 1305 e 1306 indirizzo due lettere ai fratelli in Crimea ed in Persia, nelle quali evidenziava l’impossibilità di poter continuare nel suo operato se non fossero stati inviati altri frati e soprattutto buoni predicatori. Il Papa Clemente V, appositamente avvisato, comandò al Ministro generale dei Frati Minori di scegliere 7 frati da essere eletti Vescovi e per inviarli a Fra Giovanni onde consacrarlo Arcivescovo e Patriarca di tutto l’Oriente. Di questi, solo tre raggiunsero Pechino e portarono a termine la missione loro affidata. Fra Giovanni morì nel 1328 all’età di 81 anni in concetto di Santità. Il suo sepolcro divenne meta di molti pellegrinaggi e le sue reliquie furono conservate gelosamente come quelle di un Santo.
Ricerche storiche di Nunzio Di Rienzo
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